L'evoluzione della meraviglia abita nel Castello Aragonese

L'evoluzione della meraviglia abita nel Castello Aragonese

IL REFRAIN MI SCUOTE, E VA E VIENE, BASCULANDO IN MEMORIA: «È DEL POETA
IL FIN LA MERAVIGLIA... // CHI NON SA FAR STUPIR, VADA ALLA STRIGLIA!».

Sono i versi arcinoti di Giambattista Marino, il sommo della poesia barocca. Sono trascorsi quattro secoli e la prepotenza di quel testo non mi abbandona per la contemporaneità dirompente, condita da una vena pepata che svela una necessaria, essenziale e asciutta verità.

Anche perché il «poeta» della rima è l’«artista» in sé. Senza troppi giri in tondo. Perché parto da Marino? Presto detto.Sono tornato giorni fa nell’area monumentale del Castello Aragonese.

SENZA PAROLE TRA CIELO E TERRA
Entrando nella Chiesa dell’Immacolata che, guarda un po’, è di uno stile barocco incompiuto come la travagliata vicenda dell’edificio, mi trovo di fronte a un «meraviglioso» allestimento che, per lo stupore con il quale mi avvampa, mi lascia senza «parole che dico umane». È la mostra che l’associazione Amici di Gabriele Mattera dedica allo stesso Gabriele e a Raffaele Iacono. Gabriele non c’è più da qualche anno e la nostalgia s’insinua ogni volta che rivedo qualche suo prezioso e inconfondibile lavoro, come le tele del periodo degli «Uomini in rosso» ora riproposte. Mi appaiono come diafani frammenti titanici che esemplificano la sua raffinata ricerca, l’eleganza di uno stile fondato sulla percezione di un umanesimo radicale che impone distacco dalla mondanità. In lui c’era un’etica della lontananza un po’ ascetica che, per statuto, resta duale e planetaria, sospesa ma terragna per la forza di attrazione scaturita dal nocciolo profondo che tutto riconduce - anche le idee e i segni pittorici - a poggiare sulle solidissime fondamenta interrate della filosofia che pure è aerea.
Cosa sono, le opere, se non le tessere di un’autobiografia destinata a ricostruirsi, a moltiplicarsi con il trascorrere dei lustri, con la consapevolezza che accompagna il distacco (quello definitivo del corpo dalla nostra Terra) all’accentuarsi della presenza di Gabriele nel ricordo? Mi entusiasmo e vado in flashback a percorrere i sentieri dei momenti condivisi con il maestro, sotto il segno di un’arte e di un luogo che sono levitanti, forse immortali per destino. Proprio lì, nel candore dell’Immacolata, che nasconde nei fondaci quel cimitero delle Clarisse che è considerato l’epitome della fragilità e del disfacimento delle umane cose. In questo rapido loop concettuale si intravede un circolo virtuoso, un cortocircuito felice tra morte e vita.

IL FUOCO GIALLO DELLA RI-NASCITA
Nell’avvolgimento di questa non finita geografia del posto, quasi orfica o dantesca, che pure un giorno, tanti secoli fa, ebbe un’origine esplodente, si inserisce ora con rara armonia il pendant di una installazione firmata da Raffaele Iacono. È la extraordinarietà del suo nuovo pezzo forte, quello che penso di poter chiamare il Banner della Nascita. È una lunga striscia – termine proteiforme – composta da nove fotogrammi in dissolvenza spazio-temporale che sfidano la forza di gravità: cala dal cielo e s’inarca, e torna alla cima della cupola nella chiesa bianchissima. Legata soloda fili sottili alle estremità rinnova la sospensione, anzi la transizione che ispirava Gabriele, maispirava Gabriele, ma riproduce l’esatto contrario nella rappresentazione iconica con assoluta coerenza. Cosa c’è in questi frame? Ci vedo la narrazione esplicita – come mai prima in Raffaele – di un atto creativo: la nascita di Ischia o forse dell’isola minore del Castello (e potrebbe trattarsi ovviamente anche di una fine) che hanno in comune il loro gettito vulcanico infuocato dalle viscere che rendono bollenti le maree. Immagino Raffaele alle prese con un geofono, il sensore in grado di captare pure le minime onde sonore che attraversano la Grande Madre mentre si contrae.
L’ascolto del fremito s’accoppia alla visione, ripetuta, che qui – ed è una sorta di rivoluzione stilistica o un gioco a ritroso nella storia di Iacono – è affidata alla silhouette di uno spettatore umbratile posizionato nell’altrove.
Una figura netta che ha un tratto sorprendente da graphic novel; meglio, pare un tributo indiretto a un capolavoro d’antan del fumetto d’autore, L’Eternauta. Tant’è.
Peraltro non ho alcun dubbio sulla identità dell’uomo che guarda: è lo stesso Gabriele Mattera che si specchia nel magma petroso intriso di fiamme gialle del cataclisma in atto. I bagliori sono di un giallo in metamorfosi.
Perché se il giallo era il colore «capace di affascinare Dio» come scrisse Van Gogh, per gli alchimisti antichi l’ingiallimento era un processo che, metaforicamente, significava il raggiungimento del traguardo della totalità, l’integrazione psichica.
Il giallo, soprattutto, esprimeva l’infusione di energie e di un rinnovato interesse nei confronti del mondo esterno, sulla via che conduce al pieno coinvolgimento (è il rosso, il suo colore) nell’esistenza. Proprio come i rossi uomini-sé di Gabriele. In ri-nascita.
E ad essi Raffaele Iacono rende omaggio.

GABRIELE E RAFFAELE, L'AMICIZIA DELLA PITTURA
Raccontare l’amicizia che per anni ha legato Gabriele e Raffaele è molto difficile.
Sembra di mettere a nudo un’intimità e una condivisione intensa, quasi sacra ai nostri occhi. Sembra impossibile definire, incasellare qualcosa di tanto inafferrabile eppure di così sentito e profondo.
Un’amicizia iniziata lenta e silenziosa […] nata dalla grande passione per l’arte, per la pittura in particolare. […]
La loro non era un’amicizia qualunque, era l’amicizia rara e unica di due artisti che si comprendono e comunicano al di là delle parole, era l’unione delle persone che hanno la stessa sensibilità […]
Allegria. Questa era l’altra caratteristica del loro rapporto. Sempre leggero e spensierato anche quando si era costretti ad affrontare temi difficili e seri. L’ironia era costante e così la voglia di essere
semplicemente insieme. Un desiderio di stare insieme che è arrivato a noi con la stessa intensità e che tutti noi proviamo ancora con uguale entusiasmo. […]
Due pittori e una grande amicizia. L’amicizia della pittura.
(Anna Cristina Mattera - presidente Amici di Gabriele Mattera)

 

 

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