Na’ voce, na’ chitarra... e nu’ core!

Ugo-Calise-001Giovedì 7 agosto 2014 alle ore 21 nei giardini della Torre di Michelangelo a Cartaromana nella Città d’Ischia si terrà una serata speciale di musica con l’orchestra diretta dal Maestro Antonello Cascone e la presentazione dell’attore Gino Riviecco. Una serata dedicata ad Ugo Calise (1921-1994), il grande autore, chitarrista e cantante della Napoli degli anni ‘50.

L’associazione “Folclore e Tradizione “costituita da Agostino Mazzella e Giovanni D’Amico, Pietro Lauro ha ripresa la tradizione di un Premio Internazionale dedicato ad Ugo Calise e quest’anno il premiato è il Maestro Andrea Bocelli che sarà presente alla serata e canterà alcune canzoni napoletane alla sua inconfondibile maniera.
Ugo Calise era un ischitano di sangue misto – un padre medico ischitano ed un nonno materno francese - una vita trascorsa nel Molise a Napoli a Roma ed in giro per il mondo. Si sposò con una ballerina del famoso corpo di danza delle Blue Bell, Dafne, una inglese bellissima. Ma il matrimonio naufragò. La coppia non ebbe figli. La sua canzone più famosa è “Na’ voce, na’ chitarra e o’ poco e’ luna” ma ad Ischia sul finire degli anni ‘50 mentre gestiva il night club “O’ rangio fellone” scrisse per un ragazzino di 19 anni che sarebbe diventato Peppino di Capri “Nun e’ peccato”. La canzone segnò il lancio di Peppino.
Legato alla musica napoletana degli anni ì 50 – una straordinaria stagione per la canzone napoletane – Ugo subì il declino negli anni ‘60 con l’esplosione dei Beatles e chiuse la sua carriera e la sua stessa vita con grande amarezza.
Qui lo ricorda il suo allievo prediletto Stefano Russo, al quale fu assegnato nel 1995 il premio su segnalazione di Fred Bongusto. Stefano continua a cantare le canzoni di Ugo e ne perpetua il ricordo non solo della sua voce, della sua chitarra ma soprattutto del suo cuore.
g.m.


Fra i tanti artisti grandi e piccoli con cui ho avuto l’opportunità di collaborare nell’arco della mia trentennale attività di musicista, il posto d’onore spetta senz’altro al grande Ugo Calise e non soltanto per i suoi riconosciuti meriti artistici.
Calise era un autentico “gentleman”, un signore generoso di vecchio stampo che metteva al primo posto nella vita valori come l’amicizia, la lealtà e la correttezza professionale (solo alcune delle tante eredità trasmessegli dal padre Aniello, abile medico, poeta e melomane appassionato, medaglia d’oro al valore professionale in vita perché curava gratuitamente gli indigenti).
Vorrei citare una delle tante forme, forse la più significativa, con cui Ugo mi dimostrava la sua magnanimità e il suo affetto.
Ci conoscemmo sul finire del 1993 ad Ischia Ponte e, nel ‘94, iniziammo a frequentarci piuttosto assiduamente: andavo spesso a trovarlo a casa sua a Roma per motivi di studio e di lavoro. All’epoca, già diplomato al conservatorio ma ancora senza un impiego fisso, ero un musicista piuttosto squattrinato che viveva da “bohemien” tra una serata brasiliana nei locali notturni, qualche articolo scritto per le riviste di chitarra e le lezioni private.
Stargli accanto, per me, era un piacere immenso e un onore ma, aveva la sua importanza “pratica”: anche se non glielo chiedevo, Ugo, alla fine delle nostre sedute, mi “staccava” sempre un cospicuo assegno che mi consentiva di tirare avanti per un bel po’(lo capiva benissimo!) e questo avvenne fino agli ultimi istanti della sua vita.
Pochi sanno che in quella torrida mattina di agosto del ‘94 fui io ad accompagnarlo sul treno che avrebbe dovuto condurlo dai parenti, io che gli sistemai i bagagli nella carrozza del suo ultimo viaggio. Al momento di salutarci, Ugo era visibilmente provato dal caldo e dallo stress di quella partenza affrettata che aveva intrapreso a tutti i costi pur di rivedere per l’ultima volta i suoi lidi. Si ricordò che, per la fretta, non mi aveva ancora firmato l’assegno; con fatica cacciò fuori dalla tasca penna e libretto ma le mani gli tremavano - probabilmente erano i sintomi dell’imminente attacco cardiaco - e si dannava l’anima di non riuscire a compilare quel benedetto assegno con cui mi congedava ogni volta. Quasi mi arrabbiai di tanta ostinazione! Gli spiegai che non era urgente e che avrebbe potuto provvedervi un’altra volta; il mio treno per Napoli stava per partire, lo salutai e corsi verso il mio binario.
La sera una telefonata del nipote mi informò che Ugo, purtroppo, non aveva mai raggiunto la sua destinazione: era stato trovato morto dalla polizia ferroviaria con quel libretto d’assegni tra le mani... In seguito, ordinando il suo materiale per incarico degli eredi, scoprii che buona parte dei lavori che mi commissionava erano già stati realizzati da Cicci Santucci (grande jazzista e arrangiatore) e che, in realtà, avevano costituito solo un pretesto per potermi rifornire di quel piccolo aiuto economico che tanto
mi necessitava...

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