Mariolino, l'artista del corso

mariolinoLo trovo appoggiato alla parete della sua “puteca”,** con l’occhio di chi osserva dando l’impressione di un burbero, anche se chi lo conosce sa che la sua è una personalità che aggrega idee, amicizie, eventi, tanto comunicativa nei rapporti interpersonali quanto riservata su ciò che riguarda il suo rapporto con l’arte: Mariolino Capuano l’artista del corso.
Per questa chiacchierata innocente mi accoglie nella sua “puteca” con quell’iniziale diffidenza tipica degli artisti, per poi sciogliersi e dimostrare tutta la sua simpatia solare e coinvolgente tipica di chi è artista e umile allo stesso tempo.

È un excursus che parte dal dopoguerra, dove curiosità e spensieratezza post bellica fecero emergere la sua vocazione artistica, che da autodidatta iniziò ad esprimere tra le mura di casa. La maturazione del maestro avvenne in un momento ricco di fermenti per la vita culturale di Forio, animato dai personaggi del Bar Internazionale gestito da Maria Senese, tra l'altro parente di Mariolino. Ancora molto giovane è affascinato da quel mondo, partecipa alle feste organizzate con i vari Bolivar, suo vicino di casa, Aldo Pagliacci ed altri, avendo così modo di inserirsi in un tessuto sociale ed intellettuale di gran prestigio stabilendo un legame sopratutto emozionale, che esprimerà anche nelle sue opere.
La storia artistica foriana e ischitana di quel periodo in generale è caratterizzata da due realtà che si sono incrociate e talvolta stimolate reciprocamente. Da un lato le giovani leve artistiche autoctone che si presentavano ognuno con un proprio stile: Maltese, il “primitivismo naif” di Michele Petroni (Peperone), senza dimenticare i fratelli De Angelis, Funiciello, Giuseppe Patalano (Bolivar) fino al “concettualismo” di Mariolino, espressione di una particolare autonomia, libertà e originalità espressiva, ma sempre legata e influenzata dalla cultura e dal paesaggio locale.
Dall’altro lato, la realtà rappresentata da pittori italiani: oltre ad Aldo Pagliacci, Leonardo Cremonini, Enrico D’Assia, e stranieri, tra cui, Lélo Fiaux, Botho Von Gamp, Rudolf Pointner, e naturalmente il più “foriano” degli stranieri che amò questa terra, ma soprattutto i suoi abitanti, Eduard Bargheer. Artisti che trovarono nell’ambiente e nel paesaggio agreste foriano, nei suoi colori, nella sua luce mediterranea, nei suoi monumenti-icone e nelle sue note caratteristiche (la sagoma merlata del Torrione, la singolare architettura della chiesa del Soccorso, la cupola di S. Gaetano, il porto, la dominante mole del monte Epomeo) nuove suggestioni e nuove fonti di ispirazione, che coinvolse ed ammaliò i giovani dell’epoca assetati di orizzonti artistici ben più ampi dopo anni di dolori e paure. In questo clima, internazionale e stimolante, Mariolino matura accuratezza e minuziosità, cominciando a dare un incipit preciso ai suoi lavori che da lì a venire lo faranno conoscere come “il pittore poeta”, per le sue famose citazioni letterarie o storiche, su tutte la celebre frase del padre del liberalismo italiano (Benedetto Croce) che lo ha sicuramente ispirato se non guidato: «il legno da cui è intagliato Pinocchio è l’umanità».
Dopo una pausa di qualche anno come marinaio imbarcato su navi cargo, al ritorno Mariolino riprende a dipingere, sempre da autodidatta, nello studio attiguo alla sua casa, un antico palazzo del centro storico; realizzando anche vignette umoristiche, che rivelano la sua vena ironica che tutt’oggi lo contraddistingue. Nei primi anni '80, inizia a disegnare con l'inchiostro di china, i pastelli a cera, esaltando i paesaggi isolani  con un'apparenza di surrealismo, con l’uso parsimonioso di colori acrilici.
Paradossalmente l’idea di incontrarlo mi venne dopo aver letto la presentazione di una locandina per una sua esposizione a S. Angelo, dove il maestro si esprime sul personaggio Pinocchio, quasi onnipresente nella sua arte, un elemento fondamentale della “poetica” pittorica dell’artista foriano. Personaggio ambiguo, burattino di legno, bambino-uomo, vegetale, animale e umano, e gli rileggo una sua affermazione che sintetizza la sua idea su questo omino di legno ed il suo “naso bugiardo”: "Pinocchio è un bugiardo ma non è un ipocrita, mente perché ne ha bisogno, perché è a disagio per ottenere ciò che gli manca come l´uomo stesso che, se messo in condizioni di essere malvagio, lo diventa; come il ladro che ruba per sopravvivere e va condannato, ma va pure accettato perché a questa malvagità è costretto dalla sua natura". Una vera e propria icona per l’artista foriano, con questa figura fiabesca che commuove anche se con le sue furberie di umana debolezza, che paragonerei al Principe Myskin (l’uomo positivamente buono) narrato nell’Idiota di Dostoevskij, che con l’aggettivo “buono” si ricollega all’arte, in quanto per il grande scrittore russo doveva indicare lo splendore della bellezza rappresentata con generosità d'animo e la candida fede nel prossimo.
Tra ombre, effetti luce, colori e sfumature, nelle sue opere  Mariolino cerca, soprattutto attraverso il burattino di Collodi, di esaltare la “forza morale della bontà”, un messaggio che è tanto pedagogico quanto di profonda esaltazione dell’anima e della sua purezza.
Varie sono le occasioni che lo hanno visto protagonista come l’esposizione nel castello di Avise, luogo di grande fascino lungo la strada che collega il capoluogo Aosta con la frequentatissima Courmayer.
Infatti, durante le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, Mariolino espose a Villa Arbusto (Lacco Ameno) con la mostra “Fratello d’Italia”, e, per l’occasione, Livio Viano, il Direttore del Teatro ragazzi di Aosta, omaggiò l’artista con un Pinocchio speciale che aveva accompagnato tutte le rappresentazioni della compagnia dedicata al burattino di Collodi. E mi dice con quella sua coinvolgente ironia, “Pensa che rifiutai l’esposizione nella patria di Pinocchio (Collodi) perché il luogo non impersonificava l’anima di Pinocchio con un arredamento kitch che mi turbò a tal punto che scappai per andare in questo castello magico dove trovai quel calore emotivo che il burattino di legno rappresenta”.
Con gli anni Mariolino è diventato un “ambasciatore” della nostra isola con questa sua sottile e compiaciuta autoironia che incantò gli “artisti bohemè” degli anni Cinquanta, e che, con la sua arte, tutt’oggi mantiene vivo quello spirito dell’isola che fù. Un elogio alla bellezza attraverso geometrie e colori, ombre e sfumature che ne fanno un artista che esprime la sua personale “visione” di mondo, che ci tiene a puntualizzare, deve essere solidale con tutti senza lasciare nessuno dietro perché è la regola del vivere civilmente!
La storia di Mariolino è un percorso artistico che prende spunto dalle infinite bellezze di un’isola magica, che ha avuto inizio in un periodo dove l’arte veniva permeata da un ambiente di assoluta esaltazione culturale, che nasceva dopo anni di grandi sofferenze che vengono sintetizzate così nelle parole di Eduard Bargheer che Mariolino ricorda come "...il più foriano dei foriani":

“l’infinito del mare, il silenzio delle cave e delle grotte, dei pescatori e dei pastori, e degli dei agresti, che dividono con loro il pane e si riposano all'ombra dei fichi; un mondo di poveri, di solitudine e d'incanto, dove la bizzarra capra è regina, e il mare e la terra sono pieni di presenze invisibili, mescolate di continuo alle più piccole vicende quotidiane.
Si è in piena guerra, ma si parla e si pensa come se la ferocia, la divisione e l'assurda follia non esistono: né ci si lagna di tutta questa sofferenza".
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