«Isole», viaggio e vertigine

vertigineLa sfida interrogativa non mi è nuova, e non resta banale: nelle arti figurative la rappresentazione è davvero de-limitata dalla cornice del quadro o dal perimetro della tela, del supporto? Ho frequentato piuttosto a lungo i sentieri della sperimentazione – vogliamo definirla «transmediale»? – e continuo a navigare, in giro per l’Europa, a caccia di lieviti creativi, per indugiare nel giudizio proprio ora. Ho l’obbligo di provare a sintetizzare.

E dunque dichiaro una certezza: in molti ultimi pezzi, in quella che si manifesta come una «stagione parallela» della produzione di Manuel Di Chiara, il più internazionale e completo artista (designer, inventore, allestitore, pittore, illustratore…) ischitano di questo millennio, è tornata una categoria concettuale che il grande Umberto Eco aveva denominato «vertigine della lista», sbancando ancora una volta lo scenario mondiale del verbo critico. Evocando quasi le enumerazioni e gli elenchi letterari, le spirali dell’infinito potenziale, forse testimoniando che ci sono formule d’amore mnemonico che non smettono mai di imporre la necessità di essere replicate e cantate, mi trovo di fronte alla scelta di Manuel di riprendere un tema al quale si era dedicato di recente: l’iterazione parossistica del soggetto illustrato e/o dipinto, inteso come porzione cruciale, tessera essenziale del proprio mosaico identitario.
BARCHETTE E PESCI IN PROGRESSIONE GEOMETRICA
Eccoci, allora, tra barchette, pesci (le triglie amaranto! capolavoro); e poi le case e/o le incursioni nell’essenza architettonica isolana, i bollenti fichi d’india e le quiete strisce marine con le possibili ondulazioni presunte, in nuce, e non solo: ogni singolo frame delle composizioni, e il loro esuberante, leggerissimo eppure massivo mostrarsi in sequenze espositive ci racconta che è necessaria un’azione di decostruzione per cogliere e accogliere le citazioni formali, le rielaborazioni del ricordo, i punti di vista. Sbrogliandone la trama, filo dopo filo, si viene a capo dei microcapitoli di una storia suggestiva. Metto in moto la macchina che confeziona i miei gomitoli – come uno strumento seriale utilizzato in una fabbrica (non a caso) d’inizio Novecento - e scopro l’inconfutabile verità. Mi dice con chiarezza che mi sto addentrando nella comprensione dei suggerimenti geniali di Manuel, veloci e non velocissimi, silenziosi e comunque loquaci. Sono le precise firme di una personalità compiuta e originale, che gioca col pulsante ON/OFF con delicatezza, per spingerci a osare, a non dare nulla per scontato. In una mescolanza di richiami coloristici che incorporano le atmosfere avvolte dal titolo di «Isole» – il leit motiv è appunto l’omaggio alla sua terra, Ischia – si resta abbagliati di fronte alla valanga di pulsioni in progressione geometrica, indotte magmaticamente dalla nuova serie di 80 inchiostri di formato verticale (40 opere sono 30x60cm; le altre sono divise equamente tra 20x50cm, e 20x40) che sono esposti fino al 25 dicembre alla Galleria Eloart di Forio dalle ore 10 alle 13 e dalle 16 alle 21.30. Date, queste ultime, che costituiscono soltanto una scadenza alla fruizione diretta, non un impedimento al godimento della produzione artistica (un invito a lanciarsi subito sul web: www.manueldichiara.com) che ormai si delinea come un viaggio, anzi un continuo andirivieni tra Ischia e Amburgo, la megalopoli anseatica sull’estuario dell’Elba, densa di fascino antico e brulicante di modernità che è ormai diventata la casa (e studio) di Manuel, dopo anni di forianità originaria.
 AMBURGO, O DELLA CONSACRAZIONE
 Come lui stesso racconta, la coraggiosa ricollocazione nel Nord della Germania ha innescato un boom di risultati straordinari. «Nel 2019 – spiega infatti Manuel Di Chiara con la naturalezza che è la sua cifra stilistica e umana - ho esposto la nuova serie “CARGO2019” presso il museo portuale di Amburgo, che ha ospitato la mia personale allestendo per l’occasione un intero container all’ingresso del museo stesso: 17 le tele esposte per due settimane. A seguire ho partecipato a due collettive con quadri della serie “Pop Icons” e nuovamente “Cargo” nelle gallerie Art 333 di Zurigo e Living Room Gallery di Amburgo. Di recente ho firmato un contratto di collaborazione con la AG Gallery di Amburgo, una delle poche gallerie d’arte con sede aeroportuale in Europa. Da qui è nato un progetto che mi ha coinvolto nell’allestimento degli interni della Lounge dell’aeroporto di Amburgo. Attualmente sono due, le mie tele della serie “Cargo” esposte in questi spazi più altre tre dedicate alle sale vip». Per quanto mi riguarda è una consacrazione ampiamente prevista da un bel po’, che certifica orgogliosamente l’amicizia e l’ammirazione. L’appuntamento ischitano è accompagnato dalla presentazione del nuovo calendario 2020 sviluppato partendo proprio dai lavori grafico pittorici di questa fase «due». Scommetto che le copie disponibili sono davvero troppo poche. In ogni caso, si aggiunge una considerazione sulla tecnica utilizzata da Manuel, che conferma un percorso assai rilevante. «Alcuni dei lavori a inchiostro presentati in mostra – sottolinea - sono arricchiti da passaggi realizzati a linoleografia, tecnica di stampa artigianale che si applica tramite l’uso di matrici di gomma naturale (linoleum) incise a mano». Una prova? Durante la mostra ci sarà spazio e tempo per un live painting, una performance imperdibile: è stato allestito un banco di lavoro «per poter continuare a sviluppare nuovi soggetti che andranno a sostituire man mano le opere prenotate dal pubblico».
 «CARGO» IDEALE ESTETICO
 C’è un altro aspetto calamitante nell’opera di Manuel, e riguarda la continuazione della «fase uno» (da me numerata così rispetto a quella che considero una svolta avvenuta qualche tempo fa nelle fonti d’ispirazione), ovvero il canone estetico inaugurato con il progetto «Cargo», caratterizzato dalle navi e i porti, le macchine e le attrezzature, immagini catturate tra Napoli, Genova, Rotterdam e appunto Amburgo – stavolta declinate con acrilici su tela di grandi dimensioni – con deviazioni itineranti. Affondano le radici, anzi le àncore, nelle avanguardie dell’800 e nelle lezioni dei Russi e degli Americani d’inizio ‘900. Ne ho già parlato in articoli precedenti. Si tratta di esempi che felicemente e scientemente trasbordano a tratti nella Pop Art, intesa come leva propulsiva, e la superano. E segnano l’ennesima tappa di un cammino cominciato a Napoli al liceo artistico dei SS. Apostoli e proseguito all’Accademia di Belle Arti. Le gru, le gomene, le bitte, i rimorchiatori, le motovedette e le immense portacontainer che solcano gli oceani e trasformano lo spazio delle darsene quando approdano, mi appaiono come una finestra sul mondo dell’operosità umana che c’è ma non si vede. A 43 anni, l’età di Manuel Di Chiara, questo pianeta è tutto da scoprire. In che modo? Forse indosserà davvero il fardello dello scafandro, come nel riuscitissimo e stupefacente palombaro, colto nel momento del riposo come un alieno postbellico: è un professionista… lunare che conserva un ruolo fondamentale, si immola tra eliche e bassi fondali in specchi d’acqua oleosi e opachi. Da qui, mentre l’attimo e il movimento si fondono nella ricerca di una visione, ricordandomi che la cifra di Manuel resta coerente, mi persuado che possa preannunciarsi un ulteriore sconfinamento artistico. Vedremo presto le «sue» figure incontrate nell’Antropocene? Chissà.

 

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