Sant'Angelo

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DI CIRO CENATIEMPO

Voglio dirvi tre cose. La prima. C’è un pittore ischitano, scomparso di recente, Antonio Macrì, che metterei sempre in copertina con le sue opere. L’ho fatto: c’è un suo pezzo del 1971, china e acquerello. Ritrae il figlio Pino mentre dipinge a Sant’Angelo. È un gioco di specchi creativi. In queste pagine c’è un altro suo flash di freschezza realizzato negli stessi giorni sul porticciolo. È la sublimazione di solarità elegante, scontrosità esclusiva, rarefazioni estive tra i sogni dell’età di mezzo, gli Anni Settanta. Le pennellate di Antonio, che si esaltava en plein air a idealizzare l’isola amatissima, suggeriscono - come i grandi sanno fare - un mondo e un modo, l’attimo vitale e progressivo già compiuto nel paesaggio.

Ci siamo un po’ ispirati a lui, come in un abbozzo, in questo numero del giornale. Ci sarebbero volute tante pagine in più. Anche se, in ogni caso, l’aria di Sant’Angelo non basta leggerla, musicarla, ascoltarla, guardarla, pittarla: bisogna starci. Senza fretta. «Elena Wassermann» di proprietà del pittore Francesco Miranda, dichiarato dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania «di interesse storico particolarmente importante». È un contenitore di immagini che mi fanno impazzire di gioia: sono le pose di modelle che Elena, tedesca bellissima e colta, sceglieva per presentare le collezioni in vendita nella mitica boutique che aprì in piazzetta nel 1952. Intanto Cornelio Minderop, personaggio/artista legato al mito fondativo di Sant’Angelo per mille motivi, ne aveva dipinto la prima porta all’ingresso... Tra le ragazze di Elena c’era una spettacolare Elsa Martinelli e tutte le altre esplodevano di fascinazione non replicabile. Non hanno mai sfilato. Stavano semplicemente con i piedi sulla sabbia sotto la Torre mentre Regina Relang scattava foto: fecero il tour d’Europa. La terza. A ritroso nel tempo di ulteriori vent’anni. Era tedesca e donna (binomio cruciale!) Linda Hélène Penzel che ha creato, dal 1932, il ponte immaginario più straordinario che ci sia: fondato su pilastri d’amore, passione, visione, accoglienza, internazionalità senza frontiera o pregiudizio. Se non ci fosse stata lei, con la sua pensione e poi l’albergo, la narrazione santangiolese sarebbe diversa. In assoluto. Fatevi raccontare la sua storia. Splendida. Io l’ho vissuta tardi, un po’ di riflesso. La figlia Margherita sposò Ferdinando Calise, più vulcanico delle acque bollenti. Se penso alle serate che lui organizzava per l’elezione di Miss Aphrodite, a bordo piscina, rischio l’amarcord, citando le chiacchierate con Fred; il canone di ammiccamenti in trasparenza; apparizioni di silhouette in lino azzurro sulla falesia al tramonto; gavettoni su tavolini notturni e salmastri in attesa di un’acchiappanza improbabile; le nuotate da Cavascura al Miramare, e viceversa. Sarebbero briciole, per l’epopea di Sant’Angelo.

 

 

 

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