L'autunno, tra funghi e profumi

autunno

L’autunno lo si percepisce nell’aria frizzantina, nel profumo del mosto in fermentazione e delle vinacce sparse nei campi. Ma è sicuramente nei boschi che lo avvertiamo maggiormente: le castagne cominciano a cadere (pronte per essere raccolte), decorando qua e là il tappeto di foglie, che nasconde tra le altre cose i funghi, insieme alle castagne i veri protagonisti della stagione autunnale. Il percorso che proponiamo questo mese in pieno tema autunnale, ci porta in due dei boschi più belli dell’isola.

Percorreremo un tratto del sentiero CAI 501, quello che ripercorre la storia del tufo verde.
L’itineraio del tufo verde è un percorso nel cuore dell’isola, dove gli aspetti geologici (geositi), vegetazionali, storici ed antropici si fondono in un paesaggio unico.
Il complesso assetto del territorio comportò, inoltre, anche una capillare rete di collegamenti (sentieri, mulattiere, ripide gradinate), spesso scavati negli strati rocciosi, mentre i terreni coltivati, scanditi dai terrazzamenti, venivano sostenuti da una tipica muratura a secco di contenimento: le "parracine".
Partendo dalla Piazza di Serrara saliamo verso il ristorante Bracconiere per inoltrarci in un paesaggio selvaggio ed affascinante sul versante ovest dell’isola (Forio), fino ad arrivare al bosco dei Frassitielli, un terrazzo di acacie fittissime. Nel bosco le robinie (Robinia pseudoacacia L.), specie nordamericana introdotta, si alterna a diversi esemplari si euforbia (Euphorbia characias L.) e tipi di felce, quali Polypodium vulgare e Pteridiunium aquilinum. Il sottobosco ed i bordi dei sentieri sono caratterizzati dalla presenza di valeriane (Valeriana officinalis L., Centranthus ruber L.), anemoni (Anemone nemorosa), viole (viola canina L),  psoralee (psoralea bituminosa), , ciclamini (cyclamen purpurescens Mill.),  ferule (Ferula communis L.) , ginestre (Spartium junceum L.), oltre che da una serie di piante aromatiche e medicinali quali, la nepeta (Nepeta sp. L.), la santoreggia (Satureja hortensis L.), il tarassaco (Taraxacum officinale, Weber), l’ortica (Urtica dioica L.), la camomilla (Matricaria chamomilla L.), la parietaria ( Parietaria officinalis, L.), il timo (L.), il finocchio (Foeniculurn vulgare Mill.) e l’origano selvatico (Origanum vulgare L.). Questo è il regno del coniglio selvatico che ha rivestito e riveste un ruolo fondamentale nella tradizione culinaria locale. Proseguendo lungo il sentiero ci si immerge in un secondo bosco, quello della Falanga; qui la realtà incontra la fantasia.  Il bosco della Falanga si dispone a terrazza a circa 600m sul livello del mare, proprio ai piedi del monte Epomeo. Quest’ultimo si è formato a seguito di un innalzamento della crosta terrestre (horst- vulcano- tettonico). E’ evidentissima, infatti, la superficie di faglia, che è una parete maestosa di tufo verde, scavata dal vento e screziata di licheni, coperta di lecci (Quercus ilex L.), corbezzoli (Arbustus unedo L.) ed erica (Erica arborea L.), ovunque la pendenza lo permetta. Inoltrandosi nel bosco si ha la sensazione di entrare in un’altra dimensione. Gli ambienti più umidi e freschi, consentono la diffusione delle latifoglie decidue in cui prevale il castagno (Castanea sativa L.), a cui si accompagnano elementi arborei autoctoni (diverse specie di querce: Quercus robur L e Quercus pubescens). Considerando che la natura vulcanica e sismica dell’isola d’Ischia ha condizionato nei secoli le vicende delle popolazioni locali, costringendoli a continui adattamenti al territorio, questo ha fatto sì che si sviluppasse una straordinaria testimonianza di architettura rupestre, dovuta alla lunga opera di trasformazione dei massi di tufo verde franati dal Monte Epomeo. Questi ultimi, in parte sono naturalmente scolpiti dagli agenti atmosferici (ad esempio la cosiddetta pietra “perciata”, dalla caratteristica erosione a a nido d’ape), ed in parte sono stati scavati dagli uomini che ne hanno ricavato palmenti, depositi e ricoveri temporanei. Le “case di pietra” sono così perfettamente integrate con la vegetazione e l’ambiente circostante, da mimetizzarsi con la natura e da divenire proprio per questo un' ottima difesa contro le incursioni piratesche. Esse formano qui un vero e proprio villaggio, che insieme ai resti di antiche parracine (ormai coperte dalla vegetazione) evidenziano le tracce di un passato in cui erano le viti a dominare il paesaggio e non i castagni. Si può dunque ipotizzare con una sufficiente certezza lo sviluppo e la presenza in questa zona di una diffusa attività agrivinicola.
Di notevole interesse sono anche le “fosse della neve” che si incontrano lungo il cammino. Si tratta di buche scavate nel terreno di forma cilindrica e rivestite di pietra locale, che servivano a raccogliere la neve che, soprattutto in epoche passate, era più abbondante e necessaria a diversi usi.
Dal punto di vista micologico il bosco della Falanga può regalare grandi emozioni anche a coloro che vorranno farvi soltanto una passeggiata, in quanto si tratta di uno dei posti più comodi e pianeggianti per effettuare la ricerca dei funghi epigei commestibili.
Tra tutti i generi presenti in questa zona sicuramente quelli più ricercati dagli abitanti del posto sono i boleti. Trascorsi pochi giorni dalle prime piogge estive si rinvengono infatti numerosi carpofori di Boletus aestivalis detto anche "Estatino", uno dei primi boleti a comparire nei boschi, che si riconosce dal cappello marrone chiaro e da un evidente reticolo presente sul gambo. L'ambiente preferito dagli aestivalis è il castagneto.Questi funghi hanno un ciclo vitale abbastanza breve, ragion per cui la consistenza delle carni diventa molle molto presto. In ogni caso si tratta di un ottimo commestibile e che regala sempre raccolti generosi.
Altro boleto molto ricercato e abbondantemente presente nella zona è il Boletus aereus, meglio conosciuto come "Bronzino" o "Nero".Questi funghi preferiscono terreni asciutti e caldi e li si ritrova in simbiosi con piante di castagno, quercia, leccio erica e molte altre essenze tipiche della macchia mediterranea. B. aereus raggiunge dimensioni importanti ed ha un ciclo vitale abbastanza lungo, pertanto la consistenza delle carni si manterrà soda per molti giorni.
Sicuramente molto numerosi sono i boleti della sezione "Luridi" quali Boletus luridus, Boletus rhodoxanthus, Boletus erythropus e Boletus rhodopurpureus, che vengono tutti denominati come "ferrigni" dai raccoglitori della zona. Alcuni di questi funghi non sono commestibili, tuttavia il luridus e l'erythropus sono commestibili dopo una prolungata cottura. Si raccomanda di non consumare luridi se non li si conosce a dovere, ma soprattutto se non li si sa cucinare bene poichè sono tutti velenosi da crudi.
Guardando tra gli alberi di castagno si può trovare un fungo lignicolo molto famoso che è la Fistulina hepatica, o "lingua di bue". E' uno dei pochissimi funghi che si può consumare crudo all'insalata, nonostante la consistenza gelatinosa che a prima vista non ne esalta sicuramente questo tipo di preparazione.
Continuando coi funghi che si possono consumare anche crudi non si può non citare l'Amanita caesarea, meglio conosciuta come Ovolo buono. Si tratta di un fungo ottimo da mangiare, ma anche molto bello da vedere, che cresce bene sia sotto i castagni che sotto i lecci. Come tutte le amanite va raccolto con cautela, ma soprattutto va raccolto soltanto quando il velo bianco che ricopre questo genere di funghi è lacerato naturalmente e lascia intravedere tutti i caratteri che conducono ad una determinazione certa del fungo.
Molte amanite sono mortali, ma il vero problema è che allo stadio di Ovolo, ovvero allo stadio giovanile sono tutte molto simili e un cercatore inesperto può cadere in un fatale errore.
Amanita caesarea non è un fungo molto comune, tuttavia è fedelissimo ai luoghi di crescita.
Tra i funghi più spettacolari troviamo la Macrolepiota procera, detta anche "mazza da tamburo" che raggiunge dimensioni davvero considerevoli.
Si raccomanda di cucinare sempre bene questi funghi in quanto sono velenosi da crudi come anche le famigliole di Armillaria mellea o "chiodini", che in autunno inoltrato si trovano in grandissimo numero sui ceppi marcescenti di numerosi alberi e che vanno sempre consumati dopo una prebollitura.
Procedendo verso la fine dell'autunno i boschi della falanga si colorano di giallo, a causa della presenza in grandissimo numero dei carpofori di Cantharellus cibarius detto anche "finferlo" "gallinaccio", uno tra i migliori funghi esistenti che non deve mai mancare nei misti di funghi, per il suo sapore delizioso.
Dopo un momento di abbandono e relax in questo mondo fiabesco, riprendiamo il sentiero che ci conduce ad una vecchia mulattiera incassata tra muri a secco, e bordata dal florido castagneto (ci tratteniamo ancora un po’ per funghi!) e che ci conduce ad un piccolo agglomerato rurale costruito intorno ad una Chiesa, dedicata alla Madonna: il borgo di Santa Maria al Monte, un punto nevralgico, collegamento di vari sentieri utilizzati per le attività relative alla produzione di vino. Lo spazio antistante la Chiesa offre una meravigliosa vista panoramica dell’intero comune di Forio.
Qui concludiamo il nostro cammino, ricordando ai cercatori che la raccolta dei funghi in Campania è disciplinata dalla legge regionale n°8 del 24 luglio 2007 e che la raccolta dei funghi è consentita dopo aver superato il colloquio abilitativo previsto. Per coloro che sono già in possesso del tesserino che autorizza la raccolta dei funghi ricordiamo, inoltre, di rispettare le dimensioni minime di 3 cm di diametro del cappello e il peso massimo consentito di 3 kg. Infine non dimentichiamo di non tagliare mai i funghi alla base del gambo, ma di estirparli delicatamente e poi ripulirli e di riporli infine in contenitori rigidi ed areati come i cestini di vimini.

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