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Dopo secoli di oblio, il codice massonico di Ischia racconta la sua storia

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In questi giorni è esposto all’ingresso della sala conferenze. Ben visibile a chiunque entri, sul lato opposto al busto in gesso di monsignor Onofrio Buonocore, fondatore della Biblioteca Antoniana dalle cui finestre si ammira il Castello Aragonese e penetra pungente l’aria salmastra del mare vicino. La carta fortemente ingiallita dal tempo, con ampie macchie di umidità, indica nella vetustà il suo più evidente valore. Ma non è per quello che il libro dalla copertina blu si è conquistato  tanta visibilità, fino a diventare protagonista di un altro libro, appena pubblicato da Lucia Annicelli, direttrice della Biblioteca: “Il  codice massonico di Ischia”. Il frutto di dieci anni di lavoro intorno a quelle pagine ingiallite, inghiottite per decenni dal buio in uno degli armadi di noce dell’Antoniana.

A identificare il volumetto blu la scheda BCA 450, che lo collegava all’elenco dei manoscritti. Un mare magnum nel quale, nell’estate del 2007, aveva cominciato ad addentrarsi la giovane borsista Lucia Annicelli, appena arrivata nella biblioteca comunale. Nel cercare le opere appartenute a Buonocore, le era capitato tra le mani anche quel libro, stranamente senza titolo e con il solo nome dell’autore sul dorso: Lucrezio Caro. Si trattava di una copia della traduzione di Alessandro Marchetti del “De rerum natura” di Lucrezio in “volgar fiorentino”. Poi, aggiunta a matita da Buonocore, la frase “Segue lo Statuto della Massoneria”, con due punti interrogativi.
“Già le indicazioni sull’opera di Lucrezio mi avevano intrigato – racconta Lucia Annicelli – ma osservando bene il libro avevo notato subito che le ultime pagine sporgevano rispetto alle altre. In effetti, si trattava di un’aggiunta al “De rerum”, separata dalla legatura. In prima pagina comparivano numerosi simboli a me sconosciuti, con una legenda in calce in cui mi colpirono le parole “gran maestro”. Ricordando la nota di Buonocore, capii che lo scritto riguardava  la Massoneria. Continuai a sfogliarlo, trovando che la pagina del frontespizio con il titolo era stata legata al contrario: perché? Nel titolo si parlava della dichiarazione di un acquavitaro carcerato, a proposito di una delle logge di “liberi muratori di Napoli”, ma non c’era alcuna data. A quel punto, era chiaro che si trattava di un codice rimasto nascosto nel “De rerum” fino ad allora. Un codice latomico da decifrare”.
Cosa le rivelò quella prima lettura di un testo del tutto inaspettato?
“In quelle 25 pagine, che riuscii a leggere scorrevolmente sempre più incuriosita, trovai lo Statuto con il rito di iniziazione e  il Catechismo “alla maniera di Napoli”. Arrivai poi al “Ristretto”, ovvero la cronaca della formazione a Napoli della congregazione dei muratori. Seguiva il testo della supplica a Benedetto XIV di Raimondo di Sangro principe di Sansevero, in latino, e la risposta privata del Papa comunicata dal Nunzio apostolico a Napoli. Era un documento straordinario, che mi aveva preso molto sul piano narrativo. Ricordo ancora la sensazione che provai nel riporlo: lì c’era qualcosa da approfondire e da difendere”.
Dopo quel primo esame e considerata la doppia identità di quel volume, come andò avanti?
“Cominciai a documentarmi sulla traduzione del Marchetti, oggetto di censure tanto da essere pubblicata solo nel 1717, che poi è anche l’anno che segna l’evoluzione dalla Massoneria operativa a quella speculativa. Proprio a Napoli il Marchetti fu considerato l’ispiratore degli ateisti, sottoposti ad un processo che fece scalpore, collegato al passaggio dall’Accademismo alla Libero-muratoria.  All’inizio pensavo di lavorare su entrambi i testi, ma poi ho scelto di concentrarmi sul codice”.
Tanti i rebus da sciogliere, quali per primi?
“Nel testo ho trovato la risposta per identificare l’acquavitaro con il fondatore della prima loggia “speculativa” a Napoli, Louis Larnage, un mercante di Lione. E dalle vicende narrate ho potuto datare i documenti al 1751. Mi sono dedicata poi alla ricostruzione del contesto storico, attraverso lo studio di varie fonti presenti negli archivi napoletani, ma anche nella nostra biblioteca. Il codice offre tanti spunti di ricerca. C’è voluto tempo per seguirli e per documentarmi sulla Massoneria”.
Qual è il contributo del codice di Ischia alla conoscenza di quella fase storica?
“E’ un documento prezioso per ricostruire gli albori della Massoneria speculativa a Napoli con la loggia di Larnage, a cui aderivano militari e borghesi anche stranieri, in rapporto alla preesistente loggia “Perfetta Unione”, di rito inglese e formata da esponenti dell’aristocrazia colta, di cui era gran maestro Raimondo di Sangro. I simboli capovolti nel “Quadro di Loggia” del codice, l’unico giunto fino a noi, sintetizzano quel cambiamento. Il carteggio conteneva verità scomode e per questo andava occultato. Ed è fortemente simbolico che a proteggerlo sia stato il “De rerum”, a cui faceva riferimento la tradizione massonica napoletana, tanto che un verso era inscritto nel sigillo della “Perfetta Unione”.
E’ riuscita a capire come il codice sia giunto a Ischia?
“Ischia era frequentata da personaggi di primo piano della Massoneria, sia italiani che stranieri in viaggio per il Grand Tour. E molti di loro erano ospiti del protomedico di corte Francesco Buonocore, ischitano, nella cui biblioteca figuravano due copie del “De rerum”. Alcuni importanti documenti e libri di famiglia arrivarono nelle mani di monsignor Onofrio Buonocore da una zia napoletana ed è plausibile che ci fossero anche il manoscritto del “De rerum” e la sua particolare appendice nascosta. Che studio ancora”.