Il viaggio spirituale di Santa Restituta

restitutaSi trovò sotto la montagna disarmato davanti alla sua impotenza nella baia di San Montano. I suoi piedi erano stanchi, allineati e immersi nell’acqua mentre l’esercito di granelli di sabbia studiava tattiche tra correnti e riflussi marini per attaccare finalmente i pilastri di un corpo in carne ed ossa e farne tesoro di conquista. Faceva caldo in  quel primo pomeriggio del 18 maggio. Si chiese come vi fosse arrivato, li, sulla spiaggia, ma si accorse quasi immediatamente che era inutile domandarselo perché la mole 

di  emozioni di cui si era caricato il giorno precedente occupava ogni angolo della  sua  anima  e forse era stato quello il motore che lo aveva spinto a tornare in quel posto. Era in vacanza e si trovava a Lacco Ameno per la celebrazione della patrona del comune e dell’isola d’Ischia, Santa Restituta, di cui aveva sentito parlare da un amico qualche anno prima. La storia di quel racconto che si ripeteva un anno dopo l’altro si era impressa come le note di una sinfonia su un nastro suscitando in lui la voglia di soddisfare una curiosità che pareva un pozzo senza fondo. Sapere e conoscenza erano diventati l’oggetto di un desiderio nemmeno poi tanto nascosto. L’importante, comunque, in quel momento, era restare fermo, immobile, preda del sole che riflettendo sull’acqua gli lasciava il viso accalorato. Perciò, dichiarare una volta per tutte la resa incondizionata a Sabaoth, il Dio dell’Universo o il Sanctus dei cattolici di cui aveva letto qualcosa anni prima, gli piaceva pensare sarebbe stata la cosa più sensata in quel momento. Con la fierezza di un generale a cavallo si mise davanti ai ricordi della sera prima e in un momento li passò in rassegna assieme alle sensazioni che vi aveva collegato. Non sapeva come e se tentare di descriverle. Ognuna pareva possedere un’armatura scintillante al cui interno poteva nascondersi qualsiasi cosa che gli sarebbe piaciuta indagare e conoscere. Gli sembravano però più grandi e ingestibili del solito dandogli, al tempo stesso, un senso di felicità mista all’inquietudine. D’un  tratto, con un colpo di coda, il pensiero fu rapito dal misticismo portato da uno sbuffo leggero di brezza marina e fu condotto da nessuna parte, sempre lì ma in un posto che gli sembrava diverso. E forse lo era. Si trovò proiettato durante il processo e l’arrivo di Santa Restituta sulle coste di Lacco Ameno in un tempo lontano. Gli pareva fosse il 1967, anno della prima recita. Veniva sera. Il giglio della Santa I gigli fioriti all’imbrunire come per incanto sbocciavano dalle piccole dune desertiche e accompagnavano i suoi occhi curiosi intenti a osservare ogni movimento percettibile della barca sul mare che, secondo la tradizione, raccoglieva il corpo esamine ma intatto di Restituta. Di lì a poco il gozzo sarebbe stato bruciato con lo scopo di far rivivere alla platea di spettatori l’angoscia di una morte annunciata cui nessuno avrebbe potuto opporre resistenza. Sullo sfondo volteggiava l’angelo che, da cinquant’anni, ha il compito di avvisare la giovane Lucina dell’imminente arrivo della Santa sulle coste ischitane. Pensò ai testi, alle parole, alle musiche e gli parve di ascoltarle nuovamente. Un brivido lo scosse. Provò a soffermarsi sui profumi di una terra lontana che si confondevano immancabilmente con quelli di un presente contemplativo e surreale. La sua mente, tuttavia, era lucida e si divertiva a disegnare la composizione della scenografia naturale che ormai si trovava stampata da qualche parte nella sua immaginazione e che di diritto, ogni volta il 17 maggio, diventa incrocio tra la tradizione e il sentimento popolare di devozione e si alimenta tra mito, religione e la fede che il popolo di Lacco Ameno ripone in Restituta, la Santa, che arrivava dalla Tunisia. Come a scimmiottare il volo di un colibrì, la cui direzione è difficile da prevedere, in quel luogo ormai sospeso e magico, cambiò traiettoria alle sue riflessioni e cominciò a pensare al lavoro e alla mobilitazione di un paese intero cui aveva assistito nei primi giorni del suo arrivo. Seppe, come per conoscenza infusa chissà grazie a quale forza naturale, che la tradizione porta con sé la passione e che questa scorre nel sangue degli abitanti della vecchia Phitecusae che non ne hanno mai fatto mistero. Il tempo a Lacco Ameno, dall’8 di maggio, se ne era accorto, rallenta e gli abitanti, come formichine, mollica dopo mollica, contribuiscono con partecipazione alla ricos ruzione di un racconto affascinate e fantastico.  La «macchina» della festa Il suo procedere sul cammino del passato costeggiava le  immagini dei  primi attori  che recitavano la parte di centurioni romani, di ancelle, mercanti  e sull’immancabile  ruolo di Restituta che era affidato a ragazze dai caratteri somatici simili a quelli della martire. Ognuno per se si dedicava alla realizzazione del proprio costume completo e nei minimi particolari. Stoffe, calzari in cuoio, mantelli, ogni cosa seguiva un processo rigido affinché nulla si discostasse dall’idea verosimile di ciò che accade. Gli pareva di scorrere tra l’allegria dei giorni di festa, stampata com’era sui volti della gente operosa nel culto e attenta a trasmettere la vita ai simboli che raccontano della morte di Restituta d’Africa nel 304, d.C. Si soffermò davanti alla fabbricazione della barca che da febbraio fino a maggio occupava un gruppo sparuto di artigiani. La stessa sarebbe poi stata incendiata al centro della baia. «Bruciate la sacrilega», queste le parole imponenti e ansiose che gli rimbombavano nella testa e richiamavano l’epilogo di un passato le cui radici furono riportate alla  luce  dall’ideatore di quello che in mezzo secolo aveva assunto i connotati di un vero e proprio spettacolo a cielo aperto. Il sacrestano Cristoforo Pascale riuscì a convincere il prete e archeologo Don Pietro Monti e mettere in scena  lo  sbarco dei resti di Restituta. Era presente, anima e corpo, e testimone dello scambio animato tra i due. Don Pietro dovette ricredersi di fronte al successo dell’opera a San Montano, alla quale accorse chiunque, turisti compresi. La regia fu affidata all’estroso e creativo Rino Gamboni. Idealmente, dopo, alla fine, gli strinse la mano per averlo reso parte di qualcosa che, sapeva, lo avrebbe rapito ancora per molto tempo anche se, ormai, non sapeva più in quale tornare.

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