Il mio amico Capodoglio

Il mio amico Capodoglio Quella nebbia d’estate aveva una densità diversa ma cominciava a diradarsi. Nicola teneva il timone e fissava suo figlio che, cullato dal rumore del motore del piccolo peschereccio, tra gli spruzzi e un venticello leggero, si era addormentato a prua vicino alle reti dopo soli dieci minuti dalla partenza.
Non era la prima volta che Salvatore lasciava la costa per andare incontro al mare in compagnia del padre ma non l’aveva mai fatto così presto.

Glielo aveva promesso Nicola, dopo le varie insistenze tutte le sere prima di andare a letto: avrebbe dovuto portarlo con sé, alle prime luci dell’alba, verso la valle sottomarina che si spinge in profondità conosciuta come il Canyon di Cuma, tra Ischia e Ventotene, a osservare i capodogli.

È lì che si riproducono e si nutrono le famiglie di cetacei, composte di «grandi» già conosciuti nei tanti incontri e studi condotti della onlus Oceano Mare Delphis, come da «piccoli» appena arrivati o da esemplari solitari. Proprio quella zona è frequentata da una popolazione divisa in differenti gruppi.

«Purtroppo si tratta di una specie minacciata. Nell’ultimo anno però sono stati circa sessanta gli avvistamenti – pensava Nicola – e ciò significa che il mare, benché l’uomo continui a violarlo e a fargli del male, ci sta ripagando con la sua bellezza». Nell’osservare suo figlio, tredici anni appena compiuti, armato della piccola macchina fotografica regalatagli dai genitori per il suo compleanno qualche giorno prima, il sorriso gli solcò il viso come la barca che scivolava sulla superficie pulita del mare. Fu alimentato dall’idea che forse in piccolissima parte, in una fetta d’amore infinitesimale che aveva distribuito nel mondo, era anche un po’ suo
il merito se il Mediterraneo si stava ripopolando di natura vivida e fertile.
Pure suo padre, come lui, era un pescatore.
Gli aveva trasmesso la passione per il mare, la stessa che cercava di passare in tutti i modi e in ogni occasione a Salvatore. Il nonno purtroppo, che aveva conosciuto il nipotino fino a poco più del compimento dei suoi due anni, non c’era più. Salvatore qualche volta si ricordava con la felicità dei bambini di quel grande uomo con la «barba che pungeva, ma era morbida» o quando parlava delle sue mani anziane, gonfie di esperienza e fatica, che lo accompagnavano nelle lunghe passeggiate tra la spiaggia di San Pietro e il porto. Nicola, invece, quando si ricordava del padre diventava preda di una tristezza che aveva il sapore del vuoto, sebbene portasse impressa nella memoria la sua immagine di uomo fiero e determinato che sapeva sempre cosa poteva prendere e come comportarsi nelle situazioni difficili. Il mare in ciò era stato un maestro e glielo aveva insegnato. Senza sconti.
Su tutte, conficcate nelle pareti dell’animo, vi erano le scene di cui Nicola era stato testimone: la gratitudine che il suo papà esprimeva in un rito, ogni volta che toccava terra per tornare a casa. Si rivolgeva sottovoce all’imponenza di Poseidone con «grazie amico mio» per avergli permesso di conquistare il bottino quotidiano, mentre le sue mani s’immergevano nell’acqua salata per raccoglierne un poco e bagnarsi il capo. Di quel mondo, per lui fonte d’insegnamento e nutrimento anche spirituale, non aveva mai sottovalutato l’autorità e il fascino. Nicola sorrideva all’idea che Salvatore un giorno avrebbe manifestato lo stesso rispetto per quella che allo stesso tempo è fonte di calma tumultuosa e caos calmo. Intanto il suono delle onde che sbattevano e scivolavano sulla chiglia gli faceva compagnia. La sua mente fu rapita dalla ricerca dei motivi che avevano acceso la curiosità del figlio per i capodogli.
Doveva esserci stata una causa se quel desiderio di ricerca era sgorgato come acqua da una fontana dalla profondità del nulla per emergere in superficie e ne muoveva addirittura la voglia di conoscenza.
Forse la ragione era sotto i suoi occhi che si immergevano a vari livelli tra le righe durante la lettura del romanzo che Herman Melville scrisse nel 1851. Salvatore lo sfogliava tutte le sere prima di andare a letto. Si descrivevano le avventure di Ismaele, l’odio profondo e la sete di vendetta del capitano Achab, comandante della baleniera cannibale, ornata da ossa di cetacei, il Pequod, e del suo equipaggio. I moti e le avventure alla ricerca della balena bianca dalla «gobba come una montagna di neve», Moby Dick.
Oppure si velava nella storia che narra del ritrovamento sulla spiaggia di Citara, la mattina del 23 aprile del 1770, di un cetaceo tra gli otto e i dieci metri. I pescatori che trovarono i resti del gigante lo chiamarono «Cachelotto». L’episodio che rappresenta il primo spiaggiamento di un predatore di grosse dimensioni in Campania è raffigurato da un dipinto su tela del pittore foriano Gennaro Migliaccio, custodito nel museo nazionale di San Martino a Napoli. A testimonianza di quell’evento, dell’intero corpo dell’odontoceto morto a causa di una ferita incancrenita alla coda probabilmente dovuta a un colpo di cannone, giunto sino ai giorni nostri, ancora intatto, è rimasto solo un osso mascellare di circa tre metri adesso conservato nel museo del Torrione a Forio.
A quel tempo per distruggere le carni del «grande mostro di Citara» ormai senza vita furono impiegate 637 persone per 17 giorni e spesi 306,56 ducati.
Oppure la curiosità di Salvatore era da ricercarsi nell’unione di questi due racconti. L’uno mantiene la carica di realismo che si contrappone al simbolo e all’allegoria, l’altro raffigura un fatto che portò gli uomini a riflettere che il mare è un corpo vivo. In cui può celarsi la sorpresa di scoprire il terrore dei mostri che vi abitano. Un mondo d’acqua che ha ancora tanto da insegnare agli esseri umani. Come l’amore narrato tra il cetaceo maschio, spiaggiato a Forio, e la femmina il cui corpo fu rinvenuto poco tempo dopo sulle coste della Puglia.
Qualunque cosa fosse Salvatore ne era rimasto stregato tanto da non riuscire a dormire la sera alla notizia che sarebbero salpati di buon ora l’indomani mattina. L’acqua d’un tratto si ruppe a circa venti metri dalla piccola imbarcazione. Una macchia grigio scura apparve sulla superficie e un soffio basso e disordinato segnalò la presenza del desiderio di Salvatore. Nicola non fece in tempo a chiamarlo che già era in piedi per immortalarlo nel suo scatto. «Papà è bellissimo», esclamò Salvatore. Nicola pensò «si tesoro, è vero. È bellissimo». E rise.

Oceanomare - Delphis Onlus
(www.oceanomaredelphis.org)

promuove la conoscenza e la conservazione dei cetacei e della biodiversità marina, implementando studi non invasivi e programmi di educazione, sensibilizzando l’opinione pubblica sui cetacei e l’ambiente marino. La scienza e la conoscenza sono cruciali per la comprensione del mondo naturale e di come l’uomo impatta su di esso: la collaborazione tra scienziati, professionisti della conservazione, amministratori e policy-maker è essenziale per incorporare le informazioni scientifiche nelle decisioni di gestione dell’ecosistema.

Museo civico del Torrione

A Forio, aperto tutti i giorni, lunedì chiuso. Orari: dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 19 alle 21.30. Ingresso 2 €. È il principale museo del Comune di Forio, è gestito dall’associazione culturale Radici ed è tra i più caratteristici musei dell’isola d’Ischia. La Torre è formata da due sale, una inferiore e una superiore. La prima sala ospita mostre ed eventi di artisti, mentre in quella superiore vi è l’esposizione permanente dedicata al celebre pittore, scultore e poeta Giovanni Maltese.

 


di Graziano Petrucci

 

Associazione Delphis
Associazione Delphis
Associazione Delphis
Associazione Delphis
Associazione Delphis
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodiglio ad Ischia
Capodogli e delfini ad Ischia