I Misteri di Procida

misteriIl Cristo Morto che sfila nella processione del Venerdì Santo rappresenta l’anima stessa di Procida, la quintessenza del dolore intimo e personale dell’uomo. Queste membra abbandonate e sanguinanti sono venerate da molti. Non c’è superstizione, solo una grande fede che spinge chiunque gli sia innanzi nella Chiesa di San Tommaso d’Aquino (via Marcello Scotti), dove ha sede la Congrega dei Turchini ed è esposto durante tutto l’anno, ad avvertire la necessità istintiva di accogliere la sua mano, soprattutto oggi che la teca di plexiglass che lo protegge aspetta di essere sostituita.

«E' un'emozione profonda che fa vibrare tutte le anime e invita coloro che assistono al corteo sacro a incontrarlo con una maggiore intimità qui», conferma il Priore Gabriele Scotto Di Perta. «Qualcuno per riconoscenza gli ha donato degli oggetti in oro, ma sono tanti i momenti di riflessione interiore che toccano anche chi non crede, che non può fare a meno di piegarsi con commozione a questo grande sacrificio».
Se chiedete a un procidano chi sia l’autore della statua vi risponderà “un carcerato che soffriva nel carcere di Terra Murata”, ma si tratta di una credenza, anche se raccoglie valenze più intrinseche, infatti circa un secolo separa l’edificazione del Palazzo D’Avalos (1830), dalla realizzazione dell’opera, come indica il basamento “Neapoli 1728 Carminus Lantriceni sculptor”.
La scultura lignea del Cristo Morto, che in processione viene trasportata in spalla da 8 persone che si alternano in turni da 8, è stata realizzata da Carmine Lantriceni e fu commissionata probabilmente proprio dai Turchini. Anche se non è mai diventata un oggetto da museo, come accade invece per il Cristo Velato che si conserva nella Cappella di San Severo di Napoli e il Cristo deposto in marmo nella Cattedrale di Capua, viene considerata una vera e propria opera d’arte del primo Settecento napoletano.
Per capire la devozione che esplode durante la Processione del Venerdì Santo, in un momento che unisce folclore e religione, bisogna andare indietro nel tempo, al 1588, alla nascita, per volere dei Gesuiti, della Confraternita dei Turchini, che oltre a promuovere il culto mariano dell'Immacolata Concezione, hanno da sempre una grande attenzione alla Passione e al Cristo Morto.
E’ interessante sapere, come riporta il medico Giacomo Retaggio, storico dell’isola e autore di diverse pubblicazioni, come la storia di Procida si sia intersecata con quella del Clero, presente all'epoca e fino alla metà del secolo scorso in modo significativo (si parla di circa 80 preti per una popolazione di appena 10.000 abitanti). Una presenza che ha caratterizzato quel clima confessionale che se da una parte ha rappresentato un limite per la componente libertaria e laica, ha favorito con lo sviluppo assistenziale quello culturale come non è accaduto altrove, visto che i preti sapevano leggere e scrivere.
La Processione non ha subito una battuta d’arresto neanche in periodo di guerra, come nel 1939, quando per esaurire i ruoli, sono state coinvolte anche le donne estranee fino ad allora e così accadrà quest’anno con la presenza di cinque consorelle nella Confraternita, come ha disposto la Chiesa centrale. L'unica memoria che è andata ad esaurirsi probabilmente è quella della "Zeddose", che in dialetto procidano indica le "intonse", ragazze presumibilmente illibate che indossando un velo sul capo, si recavano il Mercoledì Santo nella Chiesa di San Michele per prendere parte al corteo penitenziale.
Chiunque abbia coscienza di questo momento, sa che la processione del Venerdì Santo non è una tradizione consegnata da padre in figlio, ma dalla popolazione tutta, anche da chi non partecipa! Questo corteo sacro è l’omaggio all’orgoglio e alla forte identità di questo popolo: non c'è procidano che nella notte tra giovedì e venerdì non venga assalito dall'ansia di questo momento.
Si dice che non ci sia un posto al mondo che non abbia visto un procidano: Procida è anche l'isola dedita alla navigazione. E’ facile immaginare quanti siano i naviganti ancora oggi lontano da casa, tristi perché non possono prendervi parte, tanti altri invece fanno di tutto per esserci, come racconta Carmine Scotto di Carlo che aspetta per queste festività il nipote Gabriele da Genova e suo figlio Carlo dall'Inghilterra.
Ogni bambino e anche quelli che non lo sono più, ne conservano il ricordo, probabilmente come il primo della propria vita. Ognuno si impegna alla realizzazione dei "Misteri”, i riferimenti biblici introdotti all'inizio del '700 nel corteo sacro, allestiti grazie alla bravura artigianale e sistemati su basamenti di legno, trasportati rigorosamente a mano nonostante il peso notevole. La preparazione comincia dopo Carnevale: dal muratore all'avvocato ognuno dedica i propri ritagli di tempo, anche fino a tarda sera, contribuendo economicamente alla loro realizzazione e che è possibile ammirare fino a quaranta giorni dopo con l’esposizione nella Chiesa di San Giacomo.
«A cinque anni – spiega Giacomo Retaggio - ho preso parte al mio primo Mistero con il calvario in bottiglia e più tardi, a 7 anni, a quello della Samaritana al Pozzo, ricordo con simpatia che dovevo tradurre, nonostante la mia giovane età, l'iscrizione in latino a chi ripetutamente chiedeva. I miei nipotini, Andrea e Gaia, hanno cominciato come tutti vestiti da Angioletti. La maggior parte degli abiti hanno una storia affascinante, quello che conservo io avrà perlomeno 100 anni, è un dono ricevuto dal nonno di mia moglie, Almerindo Manzo, ma sono tante le sarte e soprattutto le ricamatrici, che li ripropongono curando tutti i dettagli».
Difficile dire quale sia il momento più sentito. «Il Venerdì Santo la Chiesa alle 4 del mattino è già affollatissima, per una breve veglia. Non è ancora l'alba – cerca di spiegare il Priore - e il corteo con l'immagine di Cristo e della Madonna Addolorata si sposta alla Chiesa di San Michele, sede storica della Congrega. C’è grande pathos quando varcano l'uscita per cominciare questo lunghissimo serpentone che sfila per le vie di Procida con circa 2.600 figuranti, intonando marce funebri come “Miserere", "Salvete, Christi Vulnera" e "Stabat Mater” anticipati dal suono lancinante di una tromba seguito da tre rulli di tamburo». «Molti restano impressionati - spiega Carmine Scotto di Carlo - dalle catene che vengono trascinate. Strisciando sui basoli producono scintille e un rumore che ne anticipa l'arrivo, fa venire i brividi e spesso ne indica la fatica, tant'è vero che c'è un detto ischitano che dice "neanche se dovessi tirare le catene a Procida"».
Sempre per seguire il detto “a processione scennev e ‘o mast inchiuvav”, chi conosce i preparativi per il Venerdì Santo a Procida, sa che qualcuno potrebbe essere ancora li, impegnato fino all’ultimo minuto.

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